Posso installare una telecamera nel mio condominio?
POSSO INSTALLARE UNA TELECAMERA NEL MIO CONDOMINIO
Questo è uno di quegli argomenti molto “gettonati” ed oggetto di numerosissime dispute
giurisprudenziali sfociate in pronunce diverse e spesso contrastanti.
Il tema della possibilità di installare una telecamera nel proprio condominio si “scontra” con il tema
della tutela della privacy.
Se installando una telecamera garantisco anche agli altri condomini maggiore sicurezza che
problema dovrei avere?
In realtà non è proprio così.
L’art. 1123 ter del codice civile (introdotto nell’ambito della più ampia riforma del condominio del
2012) ammette l’installazione sulle parti comuni di telecamere o impianti di videosorveglianza
prevedendo altresì una maggioranza degli intervenuti ex art. 1136 cc.
Il Garante della Privacy è intervenuto indicando tale installazione volta a limitare l’angolo visuale
esclusivamente all’area da proteggere.
Viene da chiedersi cosa accade se tale angolo coincida con il passaggio condominiale costituito,
magari, da uno spazio comune (c.d.pianerottoli o scale)
Il Tribunale di Catania con una recentissima sentenza, 31Gennaio 2018 n 466, ed il Tribunale di
Bergamo sentenza, 9 Maggio 218 n 1074, hanno riconosciuto un risarcimento ad un condomino
che ha vista violata la propria privacy da alcune riprese effettuate da una telecamera installata da un
vicino.
La Corte di Cassazione ha confermato tale orientamento (sent. 38230/2018).
Le modalità di installazione delle telecamere e degli impianti di video sorveglianza saranno trattate
successivamente.
Risarcimento per l’occupazione del cortile condominiale abusiva
Risarcimento per l’occupazione del cortile condominiale abusiva
L’ordinanza del 23 Novembre 2018 n 30472 della II sezione civile, statuisce in caso di occupazione
sine titulo di un bene condominiale, che il danneggiato desideroso di ottenere un risarcimento del
danno è onerato della prova del danno subito a causa della occupazione senza titolo .
Dovrà pertanto essere il proprietario a provare il mancato guadagno subito a causa della
impossibilità di utilizzare il bene.
L’occupazione senza titolo può derivare da un illecito civile o da un inadempimento contrattuale.
La giurisprudenza maggioritaria afferma che in caso di occupazione illegittima il danno a carico del
proprietario usurpato risieda nella perdita della disponibilità del bene.
Come potrà il giudice valutare tale danno?
Il giudice dovrà procedere mediante presunzioni semplici ovvero alla perdita temporanea delle
utilità normalmente conseguibili nell’esercizio delle facoltà di godimento e di disponibilità che il
proprietario subisce .
Altre pronunce, è bene sottolinearlo ritengono invece che nella fattispecie di occupazione abusiva di
immobile, il danno non sia presunto né coincidente con l’evento ma al contrario sia un “danno
conseguenza” ai sensi dell’art. 1223 e 2056 c.c. il danneggiato dovrà dimostrare l’effettiva lesione.
Il danno va inteso come lucro cessante ossia mancato guadagno dipeso per esempio dalla
impossibilità di non aver potuto concedere il bene in locazione, di averlo potuto utilizzare
personalmente o dalla impossibilità di non averlo potuto vendere.
In buona sostanza, ogni conseguenza pregiudizievole derivante dall’abusiva occupazione
dell’immobile va provata, ossia occorre dimostrare di aver subito «un’effettiva lesione del proprio
patrimonio per non aver potuto locare o altrimenti direttamente e tempestivamente utilizzare il bene,
ovvero per aver perso l’ occasione di venderlo a prezzo conveniente o per aver sofferto altre
situazioni pregiudizievoli, con valutazione rimessa al giudice del merito, che può al riguardo
avvalersi anche della prova presuntiva» (Cass. 15111/2013).
. Naturalmente, chiedere l’allegazione del danno non significa che non sia ammesso il ricorso alle
presunzioni nella sua liquidazione.
Una recente pronuncia ha precisato che considerare il danno come in re ipsa crea una presunzione
che non solo esonera il danneggiato dall’ onere probatorio, ma impone al preteso danneggiante di
fornire una prova .
Il condomino obeso ha diritto all’Ascensore
Il condomino obeso ha diritto all’Ascensore
La sentenza n.22022 depositata dal Tribunale di Roma accoglie la domanda proposta da due coniugi volta ad
ottenere la realizzazione di un ascensore all’interno dello stabile nel quale abitavano.
La fattispecie descritta dall’ art. 1102 del codice civile che si occupa di regolare l’”uso della cosa
comune” prevede la necessità di rispettare determinate maggioranze per l’approvazione delle
innovazioni che comportino oneri di spesa per tutti i condomini .
Tale norma non può trovare applicazione nell’ipotesi in cui l’onere della innovazione sia stato
assunto da un solo condominio, o solo da alcuni, per lo specifico ed esclusivo loro interesse alla
realizzazione dell’opera.
La su menzionata sentenza fa riferimento all’ art. 1102 c.c. e “consente di escludere la necessità di
una delibera assembleare di autorizzazione, giacché la realizzazione della innovazione costituisce
esplicazione di un diritto del singolo condomino, il quale ben può richiedere direttamente al giudice
di accertare che l’ opera non travalichi i limiti normativi predetti”;.
Il giudice, affermando il diritto degli attori a costruire a loro spese l’ascensore, “il fatto che la
realizzazione dell’impianto sia indispensabile è fuori discussione, poiché la sua assenza comporta
una barriera architettonica che incide in modo così rilevante sulle facoltà di godimento della
proprietà degli attori, e prima ancora in una tale limitazione della loro possibilità di movimento e di
vita, da risultare ripugnante all’attuale coscienza sociale” (Tribunale di Roma sentenza n
22022/2018)
Mancato utilizzo delle cinture non esclude il risarcimento
Mancato utilizzo delle cinture non esclude il risarcimento
La conducente del veicolo sul quale viaggia un soggetto che non indossa le cinture di sicurezza, in caso di
sinistro, è corresponsabile delle lesioni occorse.
Il mancato uso delle cinture può comportare la riduzione proporzionale della misura del risarcimento del
danno, in caso di concorso di colpa, tale omissione non può escludere totalmente la responsabilità in capo al
conducente del veicolo
Il conducente del veicolo è sempre responsabile per l’utilizzo delle cinture da parte del conducente in caso di
omissione nell’utilizzo di tale dispositivo, la responsabilità sarà imputata anche al conducente .
Tale indicazioni sono state fornite dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 2531 depositata in data 30
Gennaio 2019.
Viene pertanto statuita la responsabilità anche del conducente per “colpe” di altri, nel caso di specie, il terzo
trasportato per non aver indossato la prescritta cintura di sicurezza.
Risarcibilità del danno provocato da cane randagio
Risarcibilità del danno provocato da cane randagio
Un recente pronuncia della Cassazione civile, (sezione III ordinanza dell’11 Dicembre 2018 n 31957)
analizza un aspetto controverso relativa alla risarcibilità dei sinistri stradali causati da animali randagi .
I principio generale e condiviso più volte dalla Cassazione è quello secondo il quale è l’automobilista che
dovrà dimostrare che il comune non ha adottato le misure di sicurezza necessarie ad evitare incidente .
Il conducente a doversi fare carico di dimostrare il comportamento colposo dell’amministrazione.
E’ da ricordare il caso di un automobilista che a causa di un cane randagio ha dovuto provare di avere più
volte sollecitato il comune affinché si prodigasse alla cattura dell’animale che successivamente causò il
sinistro . La pronuncia dell’11 dicembre 2018 ribadisce il medesimo principio .
Il cittadino dovrà quindi dimostrare una “colpa da parte dell’amministrazione .
Non potrà pertanto parlarsi di una responsabilità dell’Ente .
L’orientamento della Corte, molto discutibile a mio parere, si basa sul fatto che si ritiene assolutamente
“normale” l’attraversamento di un cane o di un gatto !
Il cittadino dovrà pertanto procedere con prudenza e prendere in considerazione tale ipotesi.
Risarcibilità delle spese stragiudiziali a seguito di sinistro stradale
Risarcibilità delle spese stragiudiziali a seguito di sinistro stradale
L’Ordinanza n. 4306 del 14 febbraio 2019 , III Sezione, Cassazione Civile finalmente riconosce il lavoro
svolto dal legale nell’interesse del proprio cliente .
Il fatto che ha originato tale pronuncia vede protagonista un’ impresa assicuratrice che inviava offerta
risarcitoria dei danni da uccisione senza riconoscere le spese legali .
La Corte di Cassazione è partita da un presupposto “sono comunque dovute le spese di assistenza legale
sostenute dalla vittima perché il sinistro presentava particolari problemi giuridici, ovvero quando essa non
abbia ricevuto la dovuta assistenza tecnica e informativa dal proprio assicuratore, dovendosi altrimenti
ritenere nulla detta disposizione per contrasto con l’ art. 24 Cost., e perciò da disapplicare, ove volta ad
impedire del tutto la risarcibilità del danno consistito nell’ erogazione di spese legali effettivamente
necessarie”
La Suprema Corte ha altresì riconosciuto la possibilità di erogare dette spese attraverso la “fase studio” della
tabella delle spese giudiziali.
Ovviamente il tema è complesso soprattutto dal punto di vista tecnico-giuridico ma tale pronuncia riconosce
ciò che spesso le compagnie addebitano al proprio cliente/assicurato.
Le spese stragiudiziali intese come danno patrimoniale possono essere riconosciute nelle seguenti ipotesi:
1- offerta Tardiva;
2- mancata assistenza tecnica ed informativa;
3- offerta non congrua;
4- omessa offerta senza motivazione
5- offerta non preceduta dalla proposta
6- offerta emessa ma non motivata
7- non partecipazione alla negoziazione assistita.