Sinistri marittimi e codice delle assicurazioni
Sinistri marittimi e codice delle assicurazioni
Seppur l’Italia sia una nazione coperta dal mare per quasi la totale interezza del suo territorio ad oggi non vi è una normativa chiara ed inequivocabile che disciplini la navigazione interna di natanti ed imbarcazioni, in particolar modo, in riferimento ai non pochi sinistri marittimi che avvengono lungo le nostre coste.
Con l’entrata in vigore del c.d. Codice della nautica da diporto (D. Lgs. n. 171 del 2005), è sorto un vero e proprio problema di compatibilità di tali norme con il D.Lgs. n. 209/2005 (il c.d. Codice delle assicurazioni ).
All’uopo si rimarca il primo grossolano errore posto in essere dal Legislatore il quale, già nella formulazione dell’art. 41 cod. naut., seppur confermi l’obbligatorietà dell’assicurazione di cui all’art. 2054 c.c., richiamando la legge n. 990 del 1969, omette totalmente il richiamo al D.Lgs. n. 209 del 2005.
Altrettanto grave è l’ulteriore svista in relazione all’art. 123 del D.Lgs. n. 209/2005 che prevede la copertura assicurativa solo per i danni alla persona, con inspiegabile esclusione per gli ulteriori danni a cose e ai trasportati, peraltro oggetto delle disposizioni di cui alla legge n. 990/69!
La norma summenzionata testualmente precisa: “1. Le unità da diporto, con esclusione delle unità non dotate di motore, non possono essere poste in navigazione in acque ad uso pubblico o su aree a queste equiparate se non siano coperte dall’assicurazione della responsabilità civile verso terzi prevista dall’art. 2054 del codice civile, compresa quella dell’acquirente con patto di riservato dominio e quella del locatario in caso di locazione finanziaria, per danni alla persona…4. Alle unità da diporto…si applicano, in quanto compatibili, le norme previste per l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli a motore.”
La disposizione in esame doveva essere frutto della fusione e dell’aggiornamento di varie norme previgenti, cosa che non è stata fatta.
Da quanto sopra discerne che l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile del proprietario di unità da diporto copre solo i danni alle persone e non alle cose.
Per questi ultimi, dunque, non sussistendo alcun rapporto tra assicuratore e danneggiato, il malcapitato soggetto leso non avrà azione diretta contro l’assicuratore. .
Occorre, peraltro, ricordare che in tema di sinistri tra natanti (termine improprio utilizzato dal legislatore del D.Lgs. n. 171 del 2005 che incappa in un’altra svista non distinguendoli dalle imbarcazioni e dalle navi-n.d.r.) coperte da assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile non è applicabile l’art. 149 del suddetto disposto normativo, in quanto lo stesso non fa mai riferimento a questo particolare regime di urto.
Per completare la nostra disamina bisogna ricordare che l’art. 40 cod. naut. disciplina la responsabilità extracontrattuale relativa alla circolazione di tutte le unità da diporto, comprese le navi, così come aggiunto dall’art. 3 Legge 172 del 2003 sul riordino della legislazione in materia di diporto nautico.
Il comma 2, del citato art. 40 cod. naut. stabilisce inoltre che, in tema di responsabilità civile, “il locatario/conduttore di unità da diporto è responsabile in solido con il proprietario e, in caso di locazione finanziaria (come nel caso di specie), l’utilizzatore dell’unità da diporto è responsabile in solido con il conducente in vece del proprietario”. Trattasi, dunque, di una responsabilità oggettiva che trova la sua ragione nella specialità del diritto della navigazione rispetto al diritto comune (art. 1 cod. nav.) per cui responsabile civilmente è anche l’armatore, figura che, ai fini diportistici, utilizza la nave per gli scopi esplicitamente richiamati nell’art. 2 cod. naut., ed è spesso distinta da quella del proprietario. Infatti è espressamente previsto dall’art. 42, comma 2, cod. naut., che, nel contratto di locazione dell’unità da diporto, il conduttore “esercita la navigazione e ne assume la responsabilità ed i rischi”.
Dal punto di vista strettamente processualistico va tenuto in debito conto anche il regime prescrizionale applicabile alle eventuali azioni per il risarcimento del danno in ipotesi di sinistri marittimi in cui siano coinvolte unità da diporto.
In base all’art. 547 cod. nav. “I diritti derivanti dal contratto di assicurazione si prescrivono con il decorso di un anno”. Tale previsione è sicuramente da applicare nell’esclusivo contesto delle assicurazioni marittime disciplinate dal Libro III, Titolo V, del codice della navigazione in deroga al principio contenuto nell’art. 2952 c.c., che prevede la prescrizione biennale dalla data del sinistro dei diritti derivanti dal contratto di assicurazione e riassicurazione.
Ciò posto, la disamina verte sull’applicabilità o meno della prescrizione annuale ai sinistri che coinvolgono unità da diporto.
Per risolvere tale questione occorre partire dal principio generale contenuto nell’art. 1885 c.c. che prevede che “le assicurazioni contro i rischi della navigazione sono disciplinate dalle norme del presente capo per quanto non è regolato dal codice della navigazione”.
In coerenza con detta norma l’art. 1 del codice della navigazione recita “In materia di navigazione, marittima, interna ed aerea, si applicano il presente codice, le leggi, i regolamenti, (le norme corporative), e gli usi ad essa relativi. Ove manchino disposizioni del diritto della navigazione e non ve ne siano di applicabili per analogia, si applica il diritto civile”. Dalle predette disposizioni sembra evincersi che per le assicurazioni contro i rischi della navigazione si applichi il codice civile in via suppletiva rispetto alla lex specialis del codice della navigazione e, pertanto, sembrerebbe rientrare in tale regime anche la nautica da diporto, per la ragione che rilevante ai fini dell’applicazione del codice della navigazione è la natura della fattispecie (navigazione in senso stretto) piuttosto che i fini commerciali o da diporto della medesima. Il supporto normativo troverebbe conferma nell’art.1 comma 1, cod.naut. che così dispone “…per quanto non previsto dal presente codice, in materia di navigazione da diporto si applicano le leggi, i regolamenti e gli usi di riferimento ovvero, in mancanza, le disposizioni del codice della navigazione, approvato con regio decreto 30 marzo 1942, n. 327, e le relative norme attuative”.
Avv. Massimiliano Longo
L’usucapione nei confronti dello Stato
L’usucapione nei confronti dello Stato.
L’usucapione trova definizione nell’etimologia del termine: dal latino uso – capere, acquisire con l’uso e si distingue dagli altri modi di acquisto della proprietà poiché può avere ad oggetto, non solo il diritto di proprietà, ma anche i diritti reali.
La giurisprudenza è solita ritenere che l’usucapione possa essere utilmente accertata nei confronti di chiunque contesti il diritto affermato dall’attore vantandone uno proprio.
Caso particolare ed atipico è quello in cui si voglia usucapire un bene immobile apparentemente privo di un vero e proprio proprietario, si pensi ad un appartamento rientrante in un asse ereditario privo di soggetti successibili.
All’uopo si rammenta che l’art. 586 c.c. prevede espressamente che in tale ultimo caso, acquisisce di diritto, e senza bisogno di accettazione, a titolo di eredità i beni oggetto di successione, lo Stato che, dunque, assume la veste di vero e proprio successore legittimo, prevedendo, inoltre, contro il principio generale dettato dall’art. 459 c.c., che l’acquisto abbia luogo ipso iure, ovvero senza bisogno di accettazione.
Tale disposto trova giustificazione nel principio secondo cui le eredità sono devolute da ultimo allo Stato, perché questi adempia ad un dovere di interesse generale, impedendo che i beni restino in stato di abbandono o che siano oggetto di occupazione da parte di chi non vanti su di esso alcun diritto.
Il bene entra, dunque, a far parte del patrimonio disponibile dello Stato e, in quanto tale, soggetto alle comuni regole di diritto privato.
Esso,dunque, potrà essere oggetto di usucapione da parte dei privati.
Si badi, dunque, nell’ipotesi appena trattata il contraddittorio non dovrà mai essere costituito nei confronti di un curatore di un eredità vacante e/o giacente, come alcuni sostenevano in passato, a patto, ovviamente che siano decorsi 10 o più anni dall’apertura della successione, ai sensi e per gli effetti dell’art. 480 c.c..
Ciò detto si rimarca che la legge finanziaria n.269 del 2007, art. 1 , co. 260, ha previsto, a far data dal giorno 1 gennaio 2007, che al possesso esercitato sugli immobili vacanti o derivanti da eredità giacenti si applichi la disposizione di cui all’ art. 1163 c.c. sino a quando il terzo, esercente attività corrispondente al diritto di proprietà o ad altro diritto reale, non notifichi all’ agenzia del Demanio di essere in possesso del bene vacante.
La Suprema Corte (Cass. Sez. II, 26.01.10 n.1549) ha dissipato ogni dubbio circa l’applicabilità del surrichiamato disposto, affermando la totale mancanza di efficacia retroattiva della suindicata disposizione, statuendo che in caso di attività possessorie iniziate anteriormente all’ anno 2007, per il decorso del termine usucapiendi a nulla rileva la mancanza della prescritta comunicazione all’organo preposto.
Lo Stato, infatti, precisa la Cassazione, non ha alcun ostacolo obiettivo che gli impedisca di venire a conoscenza dell’ acquisto a titolo ereditario della proprietà del bene oggetto del possesso esercitato da terzi, posto che l’ Amministrazione ha gli strumenti idonei per ottenere informazioni al fine di individuare i beni giacenti o vacanti sul territorio.
Avv. Massimiliano Longo